Mirta Del Favero, Blogger e Fashion Digital Strategist

Troppo montanara per essere cittadina ma troppo cittadina per essere montanara, è per questo che mi definisco una “Heidi cosmopolita”. Nata e cresciuta alle pendici del monte Antelao (Cadore-DOLOMITI), ho vissuto a Bologna per l’Università, a Toronto per studiare l’inglese e a Miami per spendere tutti i risparmi che avevo messo nel salvadanaio. Rientrata in patria scelgo la Romagna come terra di a dozione e dopo 12 anni passati tra Sangiovese e cappelletti, decido di ritornare nel mio rifugio tra il profumo dei miei boschi e il silenzio delle mie crode… proprio lì… nella Valle dove tutto ebbe origine. Innamorata della vita e della natura, durante il primo viaggio in Canada vengo catapultata in un universo parallelo chiamato EcoFashion e da quel momento ho deciso che il mio motto sarebbe stato: knowledge is power, power is change.

1) Tu gestisci da tempo un blog, ecofashionlifestyle. Ci spieghi di cosa si tratta? Cos’è, quindi, l’EcoFashion?

Il blog è nato come il mio think tank dove raccogliere e condividere tutte quei brand, prodotti, attività e curiosità che mi danno delle emozioni: infatti il pay off è “Not only Fashion but everything about the ecolifestyle, following my emotions only“. Trovo questa formula molto fresca e divertente perchè non mi lega in nessun modo ad un settore particolare ma posso curiosare in diverse aree tematiche, dove chiaramente il leitmotiv rimane quello di condividere e promuovere uno stile di vita consapevolmente innovativo e sostenibile attraverso post dedicati all’eco-fashion, alla vita all’aria aperta, agli eventi sportivi svolti immersi nella natura e vuole essere un contenitore di eco-notizie raccontato con i miei “eco-eyes, ovvero another point of view“.

Ho scoperto l’EcoFashion nel 1999 durante il mio primo viaggio in Canada, non avevo nemmeno idea che potesse esserci un universo parallelo rispetto alla moda tradizionale, non mi ero mai nemmenoo posta il problema degli effettivi aspetti collaterali del fashion system: il mondo dell’EcoFashion è stata una sorpresa in termini di concetto, ovvero la sostanziale differenza emersa tra l’Equo e l’Eco, per me Eco Fashion significa coniugare Etica ad Estetica, significa trasmettere un messaggio forte, un progetto basato su fondamenta fatto di rispetto e di regole trasparenti e senza dover rinunciare all’aspetto stilistico, alla vestibilità, alle tendenze e perché no anche ai colori.

2) Secondo te, in genere, nel fashion italiano sta maturando realmente un atteggiamento votato alla sostenibilità?

Ultimamente ho partecipato a diversi convegni sulla sostenibilità della moda italiana e devo ammettere che c’è molta attenzione su questa tema: devo però ancora capire se i brand che ne parlano in modo così entusiasta lo facciano perché credono in quello che dicono oppure lo fanno per una questione di green washing (nelogismo non traducibile in italiano che significa sostanzialemente l’impiego da parte delle aziende di messaggi, pubblicità e certifcazioni per creare un’immagine positiva delle proprie attività anche quando non lo è).

Ci sono però delle aziende che in qualche modo stanno mandando dei messaggi più forti o hanno firmato dei protocolli d’intesa (vedi il gruppo Benetton) per raggiungere degli obiettivi in termini di risparmio energetico e sostenibilità della filiera tessile, ma secondo me la cosa fondamentale che manca è l’educazione all’essere sostenibile: ho sempre pensato che gli adulti potessero insegnare ai bambini a come rispettare l’ambiente ed invece mi sono resa conto che sono proprio i figli ad essere i primi educatori delle generazione più grandi, i figli e i nipoti devono però fare un doppio sforzo: diseducare i genitori per poi fargli intraprendere un vero e proprio percorso rieducativo al rispetto della natura, dell’ambiente e delle persone, e partendo proprio dalle piccole cose come il chiudere il rubinetto, fare la raccolta differenziata e usare la bicicletta o i mezzi pittosto che l’auto.

3) Quali sono i brand che fanno la differenza sul tema green/sostenibilità ora a livello internazionale?

Te ne potrei fare una lista lunghissima di brand che si stanno veramente adoperando verso la sostenibilià: non mi piace però fare nomi anche se ammetto che a livello europeo uno dei gruppi del lusso francesi sta facendo un lavoro pazzesco con diversi marchi, in particolar modo nel segmento sportswear ma anche nei brand nel settore luxury con l’inserimento di una business unit dedicata alla sostenibilià che coordina tutte la attività, dalle certificazioni per il non sfruttamento delle persone, alla realizzazione di packaging ecofriendly, all’ultizzo di scarti delle loro lavorazioni per creare delle capsule collection ad hoc.

Devo però essere onesta e ammettere che il mercato nord-americano ha così tante proposte che ne rimango ogni volta affascinata: credo che la lista più completa degli eco-brand si possa definitivamente trovare in quel mercato.

4) Adesso di cosa ti stai occupando? Dove lavori? Qual è il tuo ruolo?

Da qualche mese sono ufficialmente una free-lance e mi occupo di comunicazione, social media marketing e digital PR: in pratica seguo diversi clienti in ambiti differenti, che però hanno un denominatore comune ovvero quello di essere green-oriented, e se per i brand di accessori e abbigliamento ho l’onore di seguire la comunicazione a 360 gradi, per il settore turismo seguo dei progetti legati alla valorizzazione del territorio e legati alla riscoperta delle tradizioni ma anche di promozione turistica sostenibile, invece per gli eventi sportivi mi dedico a fare la PR on tour dai -20° in inverno ai 35° gradi d’estate: è un lavoro che mi stimola tantissimo e mi dà l’opportunità di instaurare una fitta rete di relazioni.

5) In cosa si differenziano le aziende per cui lavori dalle altre? Qual è il messaggio su cui puntate quando comunicate sui Social Network?

Le aziende con cui collaboro hanno il privilegio di avere una storia da raccontare, un progetto da condividere e una filosofia di approccio al business molto semplice ma di questi tempi molto rara da trovare, ovvero quello di svolgere il proprio lavoro con il cuore. Il messaggio che cerco innanzitutto di far capire ai miei clienti è che partendo dal presupposto di avere loro un’identià precisa, le persone hanno il diritto di venire a conoscenza del loro progetto: in pratica non dobbiamo inventarci chissà quali contenuti, perché ogni giorno abbiamo sempre qualcosa di bello e soprattutto di buono da dire, cercando di soddisfare la curiosità del nostri follower e dare loro la possibilità di trovarci in ogni canale, da Facebook a Youtube, da Twitter a Pinterest, da Instagram a Flickr, ogni social ha dei fruitori diversi ma che cercano di condividere le stesse passioni e gli stessi interessi: noi non facciamo altro che fargliere trovare, o almeno è quello che tentiamo di fare. Ma attenzione: a distanza di pochi mesi una piattaforma sociale può registrare picchi di crescita ma anche un declino nell’interesse, occore farsi sempre torvare pronti nello scegliere il canale giusto al momento giusto.

6) Come fate engagement sui Social Media?

La prima cosa che chiedo ai miei clienti è chi vorrebbero coinvolgere e con quale obiettivo: occorre costruire un rapporto di rispetto dove la soddisfazione delle esigenze e delle aspettative dei follower devono essere realizzate, e anche se un “like” non è un “want”, l’aggregarsi ad una pagina significa dichiarare apertamente di far parte di una comunità e l’accesso ai social network dagli smartphone alimenta questa esigenza in modo esponenziale, perché il desiderio di affetto digitale moltiplica il valore di ogni community. Noi cerchiamo di spingere sull’aspetto green oriented e chiaramente i nostri follower sono persone che hanno il desiderio di fare parte di una green community: sicuramente chi non ha un minimo di senso civico e un po’ di educazione e di rispetto per l’ambiente sarà difficile che si accodi ai nostri followers.

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