Elisa Motterle, Web Editor del Gruppo PPR


L’intervista a Elisa Motterle, Web Editor per la divisione e-business del gruppo PPR, sulla sua esperienza nel settore Digital.

– Qual è stato il percorso che ti ha portato a diventare Web Editor per un’azienda così importante? 

Potrei raccontare degli studi, prima all’Università e poi con i Master, oppure gli anni di gavetta molto precaria… Certo, tutto questo è servito, ma ciò che – credo –  ha fatto davvero la differenza è stata la voglia di osare, il coraggio di intraprendere strade non convenzionali.

– Qual è, in pratica, il lavoro che fai ogni giorno? Come si svolge?

Oggi il mio lavoro consiste nel trasportare online l’universo che è proprio a ogni luxury brand traducendolo in attività di comunicazione digitali. Tutto ciò avviene naturalmente in concerto con i team che sviluppano le piattaforme, le grafiche e le funzionalità dei siti. Il mio lavoro comprende quindi una buona dose di creatività, ma anche tanta organizzazione che è indispensabile per lavorare sempre in sintonia con il resto del team.

– Com’è nata la passione per il fashion?

Uno dei miei primi – e più cari- ricordi è legato a Vogue: mia madre sfogliava la rivista tenendomi in braccio, e io sognavo già allora su quelle splendide immagini. Direi quindi che la mia è una passione istintiva.

– Hai avuto un mentore o un modello cui t’ispiri?

Modelli ne ho molti, ma nessuno esclusivo.

Un mentore invece l’ho assai desiderato, ma non ho avuto la fortuna di incontrarlo.

– Qual è l’ingrediente che non deve mancare mai ad una buona comunicazione sul web per il mondo fashion?

La coerenza. Per il fashion, ma anche per tutti gli altri.

– Si diceva 30 anni fa: fra 30 anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione. Ecco, il fashion – fra 5 anni – sarà non come l’avranno fatto i brand, ma come l’avranno fatto i fashion blogger? Ovvero: il rapporto delle aziende del fashion con i bloggers è ancora di sudditanza o è di sinergia nella creazione di valore del brand?

Nei mercati maturi (Europa e Stati Uniti) la moda è sempre più come la fa la gente, on e off line: blogger a parte, c’è oggi un universo legato all’autoproduzione, agli stilisti emergenti, al riciclaggio e al vintage che bypassa i canali tradizionali e trova sul web un terreno fertile.

Per quanto riguarda le aziende di moda ‘tradizionali’, a mio avviso sono saltate sul carro dei fashion blogger semplicemente perché si tratta del fenomeno del momento. E questo va a volte a discapito della qualità, creando fenomeni che sfiorano il grottesco.
Come tutte le mode, anche questa passerà.

– Qual è il tuo rapporto con le boutique virtuali? Acquisti spesso online? (Se non compri online, perché no?)

Compro moltissimo online, perché trovo prodotti che mi piacciono più facilmente ed evito l’infernale bolgia che regna negli store milanesi.

– Che ne pensi del crowdsourcing, cioè di consultare la comunità virtuale per cercare idee e soluzioni e contenuti? Funziona davvero nel fashion secondo te?

Ci sono dei progetti interessanti di foundraising e corwdsourcing per produrre stilisti emergenti: credo si tratti di uno strumento interessante, anche se forse l’idea è un po’ utopistica.
Il tempo ci dirà se funziona.

– Chi sono i nuovi style leader? Chi è, se c’è, la nuova Tavi Gevinson (giovanissima blogger conosciuta online come stylerookie n.d.r.)?

Direi in generale la silver generation (over 70, per dire).
Ma onestamente trovo incredibilmente passé il concetto stesso di style leader.

– Facebook, Twitter, Svpply, Pinterest, e oltre. Cosa manca, se manca, per il futuro digital della moda?

Un’application per non prendersi troppo sul serio?

 

Intervista a cura di Francesco Giusto, Contributing Editor @presenzaonline.it

Leave a Reply